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(di A. Canevaro – Professore ordinario di Pedagogia Speciale presso l’Ateneo di Bologna)
“Quando un bambino va a scuola, è come se fosse portato nel bosco, lontano da casa. Ci sono bambini che si riempiono le tasche di sassolini bianchi e li buttano per terra, in modo da saper ritrovare la strada di casa anche di notte, alla luce della luna. Ma ci sono bambini che non riescono a far provvista di sassolini, e lasciano delle briciole di pane secco come traccia per tornare a casa. È una traccia molto fragile e bastano le formiche a cancellarla: i bambini si perdono nel bosco e non sanno più ritornare a casa… Nella scuola, ciascuno si trova in tasca sassolini e briciole di pane non per un caso, ma per un disegno preciso”.
La scuola è come un bosco in cui alcuni bambini sanno ritrovare la propria strada, sanno leggerla e sanno orientarsi: passano la giornata nel bosco, si divertono a scoprirlo, a conoscerlo nelle sue bestiole e nei suoi alberi, e riescono a collegare tutto questo alla traccia e alla memoria che li riporta a casa. Sono padroni di un territorio perché sono padroni dei segni per riconoscerlo e per collegarlo; la loro casa non è un posto remoto e divenuto inaccessibile, ma è una possibilità e quindi una presenza da cui ci si può allontanare sicuri di ritornare. I bambini che sanno tornare a casa sono capaci anche di andare avanti nel bosco e oltre il bosco.
Altri bambini passano la giornata nel bosco e anche loro imparano tante cose: conoscono alberi e piante, animali e insetti, ma alla fine della giornata conoscono anche la paura di non sapersi orientare, di non sapere la strada di casa. Hanno imparato tanto, forse, e lo dimenticano perché non riescono a collegarlo alla traccia e alla memoria della strada di casa: il bosco diventa il posto pauroso in cui si perdono, senza riconoscere le proprie tracce, sempre estranei e sempre respinti.
I bambini che sono persi non sanno tornare a casa e non sanno neppure andare avanti, perché ogni passo che fanno è sempre per perdersi un po’ di più, per non saper riconoscere niente di sé e delle cose che stanno loro attorno: se si incontrano tra loro, non si riconoscono e non sanno neppure diventare compagni di strada. Non hanno strada, perché non sanno leggere i segni che possono costruire una strada o un sentiero: sono condannati a vagabondare senza spazio e senza tempo, e possono preferire di venir rinchiusi in gabbia.
Questo passo con la metafora del bosco, rende bene l’idea di come possa esser vissuto in generale da un bambino il primo contatto con la scuola… questo nuovo luogo che non è la sua casa e con nuovi adulti che non sono i suoi genitori o parenti.
Per un bambino, il “bosco” oltre ad essere sconosciuto, ha anche delle regole che sono diverse da quelle di “casa” alle quali si deve adattare, la strada da percorrere per arrivare a percepirlo come
luogo rassicurante sarà molto più lunga. Quindi la scuola deve provvedere con un’accoglienza tale che il bambino possa orientarsi nel nuovo ambiente, conoscere gli spazi e i tempi, ma soprattutto deve sentire di essere atteso, aspettato e sapere che c’è un posto per lui.
Secondo le indicazioni ministeriali:
emerge la necessità di una specifica ed esplicita definizione delle azioni della scuola per incontrare i bisogni formativi degli alunni, attuando l’inclusione scolastica nel quadro fondamentale del diritto allo studio.
Il concetto di “Inclusione” scolastica comporta non soltanto l’affermazione del diritto della persona ad essere presente in ogni contesto scolare, ma anche che tale presenza sia dotata di significato e di senso e consenta il massimo sviluppo possibile delle capacità, delle abilità e delle potenzialità di ciascuno.
Applicare il principio di inclusione alla scuola implica un ripensamento del concetto di curricolo, che va inteso come ricerca flessibile e personalizzata della massima competenza possibile, per ciascun alunno, partendo dalla situazione in cui si trova.
“Ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare bisogni educativi speciali o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta”.
Queste problematiche non possono essere tutte certificate ai sensi della legge 104/92, proprio perché non rappresentano delle patologie invalidanti.
La normativa garantisce a questi alunni la possibilità di ricevere la giusta attenzione in ambito scolastico.
Nei BES rientrano i Disturbi Evolutivi Specifici (D.E.S.) e cioè:
Lo strumento privilegiato è il percorso personalizzato, redatto in un
PIANO DIDATTICO PERSONALIZZATO (PDP) che ha lo scopo di definire, monitorare e documentare, secondo un’elaborazione collegiale, corresponsabile e partecipata, le strategie di intervento più idonee e i criteri di valutazione degli apprendimenti. (BES: Nuove indicazioni ministeriali – Fugarolo/Munaro)
Alunni con DSA: le Linee guida precisano che il Consiglio di classe/team docenti deve predisporre un PDP nel quale, per ogni disciplina deve indicare l’eventuale strumento compensativo o dispensativo da usare nel caso di prestazioni didattiche particolarmente difficili a causa della dislessia, disgrafia, discalculia o disortografia dell’alunno.
Alunni con altri BES: vengono estesi gli strumenti compensativi e dispensativi che vanno indicati nel PDP che deve essere formulato.
Alunni con DSA: – Le Linee guida precisano che il Consiglio di classe deve predisporre un PDP nel quale, per ogni disciplina deve indicare l’eventuale strumento compensativo o dispensativo da usare nel caso di prestazioni didattiche particolarmente difficili a causa della dislessia, disgrafia, discalculia o disortografia dell’alunno.
Alunni con altri BES: – vengono estesi gli strumenti compensativi e dispensativi che vanno indicati nel PDP che deve essere formulato.
Fornisce le Indicazioni Operative per l’attuazione della Direttiva:
Il PDP viene redatto:
Conoscenza di:
Quale ruolo ha la famiglia?